La dipendenza da internet è una forma di dipendenza emergente negli
ultimi anni nei paesi industrializzati che si sta aprendo la strada con
una velocità crescente in seguito al massiccio incremento nell’uso delle
nuove tecnologie nell’agire quotidiano dell’essere umano.
Proprio perché è un fenomeno nuovo, non vi è ancora una letteratura molto ricca sul tema.
Per il momento la dipendenza da internet viene confrontata rispetto alle conosciute forme di dipendenza (in particolar modo a quella relativa all’uso di sostanze) in quanto simili sono i sintomi che portano alla sua diagnosi.
Questi sintomi possono essere riassunti in:
Proprio perché è un fenomeno nuovo, non vi è ancora una letteratura molto ricca sul tema.
Per il momento la dipendenza da internet viene confrontata rispetto alle conosciute forme di dipendenza (in particolar modo a quella relativa all’uso di sostanze) in quanto simili sono i sintomi che portano alla sua diagnosi.
Questi sintomi possono essere riassunti in:
- Bisogno di trascorrere un tempo sempre maggiore in rete per ottenere soddisfazione
- Marcata riduzione di interesse per altre attività che non siano internet
- Sviluppo, dopo la sospensione o diminuzione dell'uso della rete, di agitazione psicomotoria, ansia, depressione, pensieri ossessivi su cosa accade on-line
- Necessità di accedere alla rete sempre più frequentemente o per periodi più prolungati rispetto all'intenzione iniziale
- Impossibilità di interrompere o tenere sotto controllo l'uso di Internet
- Dispendio di grande quantità di tempo in attività correlate alla rete
- Continuare a utilizzare Internet nonostante la consapevolezza di problemi fisici, sociali, lavorativi o psicologici recati dalla rete
Come
nel caso della dipendenza da sostanze, si può notare la condizione di
“tolleranza”, descritta nel punto 1, a causa della quale si ha una sorta
di “assuefazione” all’uso di internet, ed il soggetto trascorre un
tempo progressivamente sempre maggiore per poter ottenere
soddisfazione, sia la condizione di “astinenza”, descritta nel punto 3,
che vede una serie di conseguenze a danno del fisico e della psiche in
seguito alla sospensione dell’uso della rete da parte del soggetto.
L’abuso di internet viene classificato dalla Young (psicologa, direttrice del Center for On-Line Addiction ed editorial board di CyberPsychology and Behavior) come una dipendenza di tipo comportamentale, come nel caso della dipendenza da gioco d’azzardo o la bulimia, in quanto la dipendenza non si sviluppa nei confronti di una sostanza bensì nei confronti di un comportamento. Ma persistono comunque delle differenze tra questa forma di dipendenza e le altre forme di dipendenza comportamentale indicate, per almeno due motivi:
- Comportamenti come il gioco d’azzardo o la bulimia sono identificati dalla società come comportamenti devianti, il passare del tempo in internet non suscita particolari preoccupazioni nell’immaginario collettivo;
- Ad oggi praticamente tutti hanno un computer in casa o utilizzano internet quotidianamente, in ambiente domestico, o lavorativo: l’utilizzo di internet è una pratica che si sta diffondendo ad una velocità elevatissima e coprendo la maggior parte della popolazione.
La
IAD si delinea quindi come una nuova dipendenza che al momento manca di
una rappresentazione sociale ben delineata e che può potenzialmente
colpire una buona fetta della popolazione. Le teorie comportamentiste spiegano la dipendenza in termini di rinforzi
positivi: l’utilizzo prolungato della sostanza/comportamento è
facilitato dalla gratificazione che ne deriva. Tali teorie si sono
dimostrate un punto di vista limitato per spiegare le forme di
dipendenza tradizionali, e nel caso della dipendenza da internet, si
mostrano ancor più scarsamente esplicative. È necessario quindi cercare di capire quali sono le peculiarità della
navigazione in rete, cosa comportano per il soggetto, per riuscire a
comprendere se ed in che modo può svilupparsi la dipendenza.
Un punto
di vista diverso rispetto a quello della Young viene offerto da Caretti
(2001), che colloca la IAD nella categoria diagnostica “Trance
dissociativa da videoterminale”. Secondo questo punto di vista, la
dipendenza patologica da internet sarebbe la prima fase di un disturbo
più grave caratterizzato dall’alternanza dello stato di coscienza, la
depersonalizzazione e la perdita del senso abituale dell’identità
personale.
Uno studio condotto da Marzalin, D. e Moore, S.
dell’università di Swinburne su 161 soggetti di età compresa fra i 18 e i
25 anni ha rilevato che per i soggetti di sesso maschile, alti livelli
di ansia sociale e bassi livelli di sviluppo dell’identità personale
sono associati ad un maggior uso di internet, e tale uso si concentra
sulle chat-room e i MUD (giochi di ruolo virtuali).
Senza
bisogno di adottare un punto di vista psicodinamico per ricercare le
connessioni tra il ruolo di mediazione del mezzo tecnologico e la
costruzione dell’identità personale, è possibile individuare quelli che
costituiscono fattori di cambiamento dell’identità personale facilitati
dall’utilizzo di internet. In letteratura vengono considerate tre
dimensioni di base nel ruolo di internet nella costruzione dell’identità
personale:
- L’anonimato rispetto alla possibilità di essere identificati;
- La comunicazione sincrona ed asincrona;
- Le informazioni prettamente visive e testuali sull’identità.
Per
quanto riguarda l’anonimato, questa condizione ha come conseguenza la
caduta di quei vincoli dati dal contesto sociale reale, che dà al
soggetto un’illusione di assoluta libertà: di fare, di dire, di essere
qualsiasi cosa, senza ripercussioni nel sociale, con l’illusione che lo
schermo possa proteggere dall’essere identificati come persone reali e
che una volta spento il terminale il proprio “io virtuale” non abbia
lasciato traccia.
L’utilizzo della comunicazione sia sincrona che
asincrona porta alla possibilità di esercitare un controllo sullo
scambio comunicativo: da una parte, la comunicazione asincrona permette
di “scegliere” il come, il quando ed il cosa rispondere, facendo
diventare lo scambio comunicativo uno scambio totalmente cosciente e
controllato dagli interlocutori.
Dall’altra, l’assenza dell’aspetto
non verbale, che nelle comunicazioni reali vis a vis costituisce la
percentuale più grossa di informazioni disponibili sui soggetti, sul
contesto e sulla stessa comunicazione viene a mancare, e viene
sostituito dalll’utilizzo di emoticons, che oltre a corrispondere ad un
range limitato e stereotipato di emozioni, sono sotto il controllo
volontario del soggetto.
Infine, le informazioni sull’identità
virtuale disponibili sono ridotte a dati di tipo testuale o visivo, in
quanto il soggetto in internet viene rappresentato tramite un “avatar”:
un semplice nickname nel caso delle chat, o un personaggio nel caso dei
MUD. L’aspetto fisico viene immaginato tramite una descrizione a parole
che può essere reale o fittizia, o tramite la costruzione di un
personaggio. L’avatar può venire reinventato a piacimento, può venire
affiancato da altri avatar, in un processo di frantumazione e
sostituzione dell’identità personale che viene rimpiazzata da una o più
identità virtuali costruite in base ai bisogni, ai desideri e alle
aspettative del soggetto.
Il world wide web si offre così non
solo come un immenso serbatoio di stimoli eccitanti, una sorta di “Las
Vegas” virtuale piena di luci e divertimento, ma anche come un
contenitore dai confini labili ed indefiniti che permette ai soggetti di
cambiare le normali regole nelle interazioni umane, di sperimentare non
solo nuove emozioni, ma nuovi se stessi, che più si confanno ai propri
intenti.
Non deve sorprendere quindi che la IAD si manifesti più
frequentemente in concomitanza all’utilizzo di strumenti di interazione
umana come la posta elettronica, le chat-rooms, la partecipazione in
comunità virtuali quali forum, newsgroup o i MUD, rispetto al semplice
accesso alla rete per ottenere informazioni.
Concludendo, gli
studi recenti sulla IAD, spesso concentrati sui sintomi e
sull’individuazione delle possibili strategie terapeutiche per
fronteggiare questo nuovo fenomeno, dovrebbero forse dedicare maggiore
attenzione alle dinamiche che portano un soggetto a preferire
gradualmente un mondo virtuale, in cui i cinque sensi vengono
drasticamente ridotti all’unico senso visivo e sostituiti con esperienze
sensoriali “immaginate”, perché totalmente prodotte dalla fantasia, al
mondo reale.
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