TRADIRE: una MOSSA PERICOLOSA per la COPPIA

Per coloro che sentono l’amore come avventura, come per esempio i pazienti fobici, tradire è spesso una piacevole boccata d’aria in una relazione che, diventando troppo stretta, rischia di renderli dipendenti. Può essere anche un emozionante giro di valzer che permette di alleggerire il clima emotivo in un momento di conflittualità con il partner. Sono per esempio frequenti tra queste persone tradimenti alle soglie di un matrimonio o di una convivenza. Le prime volte in cui, in terapia, mi sono imbattuta in racconti di episodi di questo tipo, non riuscivo a capirne il significato. Mi domandavo: erano realmente innamorati del futuro sposo come credevano di ricordare? Oppure quel matrimonio era il frutto delle pressioni di un partner desideroso di stabilizzare la relazione o di una famiglia di origine ansiosa di vederli “accasati”? Niente di più lontano dal vero. Proprio perché sentivano di aver incontrato il compagno della loro vita ne prendevano le distanze attraverso una rinfrescante parentesi. Per queste persone il tradimento è come un viaggio: per quanto affascinate dall’esplorazione, sanno che torneranno a casa; anzi, quando il viaggio si prolunga troppo, non vedono l’ora di tornare dal partner portando nella relazione quel rinnovato entusiasmo e quelle energie che proprio il viaggio ha stimolato. Altri sentono il tradimento come una trasgressione, ed è proprio questo ad attrarli. È quanto accade ai pazienti ossessivo-compulsivi, spesso paralizzati dai dilemmi morali che il tradimento, a volte soltanto vagheggiato, genera. Ritroviamo lo stesso modo di sentire anche in persone, prive di psicopatologie, cresciute, come i pazienti ossessivi, in famiglie dove la dialettica fra bene e male domina la conversazione e la colpa gioca un ruolo rilevante. Di regola l’oggetto del desiderio è proibito: appartiene, per esempio, a un’altra generazione, ha l’età dei loro figli, è una minorenne oppure è sposato e non ha nessuna intenzione di separarsi. Il tradimento mette quindi in discussione i loro valori oppure la loro eterosessualità, come accade quando l’attrazione che li sta sconvolgendo è verso un transessuale o una persona dello stesso sesso. In tutti i casi la trasgressione, oltre a minacciare il rapporto di coppia, rivela aspetti di sé stessi che faticano ad accettare.

Bullismo! Lascia segni indelebili?

Per molti ragazzi vittime di bullismo, gli anni della scuola sono stati un incubo, però da adulti sono riusciti a trovare un equilibrio e un proprio posto nel mondo. Ma davvero ne sono usciti “incolumi”? E se gli anni di angherie e soprusi avessero lasciato “segni” indelebili? È noto da tempo che subire atti di bullismo determina nelle vittime conseguenze nel lungo periodo, tra cui bassa autostima, scarso senso di autoefficacia, difficoltà relazionali, un rischio maggiore di sviluppare ansia e sintomi depressivi. Ma non solo: i ripetuti atti di bullismo subiti potrebbero aver determinato dei veri e propri cambiamenti a livello di struttura cerebrale.

"Mi ritiro" La sindrome degli hikikomori

Il termine “hikikomori”, che dal giapponese si può tradurre con “mi ritiro”, è stato introdotto nel 1998 dallo psichiatra Saito con l’obiettivo di dotare di un’autonomia nosografica un quadro psicopatologico caratterizzato da isolamento volontario e prolungato nella propria abitazione.
I SINTOMI 
Secondo il ministero giapponese della Salute, del Lavoro e delle Politiche sociali il fenomeno interessa gli individui che manifestano i seguenti sintomi:
• ritiro completo dalla società per più di 6 mesi;
• presenza di rifiuto scolastico e/o lavorativo;
• o altre patologie psichiatriche rilevanti al momento di insorgenza della sindrome da hikikomori.
Tra i soggetti con ritiro o perdita di interesse per la scuola o il lavoro sono esclusi i soggetti che continuano a mantenere relazioni sociali. Negli hikikomori l’interesse per attività lavorative o accademiche, ricreative e sociali è estremamente basso, se non totalmente assente. Le relazioni sociali sono spesso limitate alle interazioni con i familiari più stretti (Lavenia, 2012). La reclusione sociale, accompagnata dalla mancanza di responsabilità e di compiti da assolvere, porta spesso a una grave alterazione del ritmo sonnoveglia. La propria abitazione viene lasciata, a seconda dei casi, per brevi irruzioni nei supermercati, per fare veloci provviste di cibo e riviste, spesso nelle ore notturne. Nei casi più gravi, l’hikikomori non lascia la sua stanza né per lavarsi né per nutrirsi. Dal punto di vista psicologico, tale condizione è caratterizzata da una spiccata perdita di speranza in sé stessi e nel mondo, che porta questi soggetti a un progressivo disinvestimento nel proprio presente e futuro. La durata del periodo di isolamento può variare da pochi mesi a diversi anni, a seconda dei casi. Sebbene i sintomi compaiano nella maggior parte dei casi fra la tarda adolescenza e l’inizio dell’età adulta, il fenomeno può interessare anche soggetti più giovani. Viene stimato che la sindrome colpisca oltre 500000 giovani giapponesi (Tajan et al., 2017). Nonostante per diversi anni il fenomeno fosse diffuso e conosciuto solo in Giappone, la ricerca ha evidenziato la presenza di casi clinici anche in altri Paesi asiatici, in alcuni Paesi europei, in Australia, Canada e Stati Uniti.